successione negli appalti e trasferimento d’azienda

Come noto, con l’art. 30 legge n. 122/2016, il legislatore nazionale è intervenuto per modificare, con effetto dal 23 luglio 2016, il contenuto dell’art. 29, co. 3, d.lgs. n. 276, che disciplina la fattispecie della successione negli appalti.

Esula da questo approfondimento l’analisi  degli elementi che distinguono un appalto genuino da una somministrazione vietata, anche se la definizione di un appalto legittimo, contenuta nel 1° co. del citato art. 29, avrà la sua rilevanza anche per una corretta  analisi della fattispecie oggetto di questa disamina. Tale norma prevede che l’appalto “si distingue dalla somministrazione  per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa”.

La norma precedentemente in vigore in tema di subentro in un appalto stabiliva che “l’acquisizione del personale dell’appaltatore uscente non costituisce, in sé e per sé considerata, trasferimento d’azienda”, mentre l’attuale formulazione del co. 3° dell’art. 29 individua e descrive i presupposti che devono sussistere  affinchè tale acquisizione di personale non costituisca trasferimento d’azienda.

Infatti la norma stabilisce che “l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa , in forza di legge o di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola di contratto d’appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda.”

Cambia la legge, ma la sostanza non muta!

Infatti già in vigenza della precedente normativa la giurisprudenza (per tutte Cassazione 15/3/2017 n.6770) aveva stabilito – adeguandosi alla Direttiva CE 23/2001- che “il trasferimento d’azienda è configurabile anche in ipotesi di successione nell’appalto di un servizio, sempre che si abbia un passaggio di  beni di non trascurabile entità, tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa”.

Analoghe considerazioni valgono non solo nel subentro in un appalto, ma anche quando, alla cessazione dell’appalto, il servizio torni in gestione diretta all’imprenditore già committente.

Tale orientamento è confermato da due recenti sentenze (Tribunale Milano del 23/6/17 n.1236 e Tribunale Bologna del 7/7/17 n. 5941), che si riferiscono a due fattispecie, una disciplinata dalla vecchia normativa ed una da quella nuova, ma entrambe le pronunce giungono alle medesime conclusioni, una in un caso di subentro in un appalto, l’altra di retrocessione d’azienda al committente.

Il primo passaggio, contenuto in entrambe le sentenze, è che l’elemento discriminante per ricondurre la vicenda nell’ambito dell’art. 2112 c.c. – trasferimento d’azienda- è quando vi sia stato un passaggio anche di beni di non trascurabile entità, che devono essere trasferiti non nella loro autonoma individualità, ma nella loro funzione unitaria e strumentale in quanto destinati all’esercizio dell’impresa. Ciò in linea con la definizione di azienda o ramo di essa delineata dalla legge e dalla costante giurisprudenza.

Ma come dobbiamo porci di fronte ad un appalto che abbia ad oggetto il solo personale occupato con pochi o inesistenti strumenti e beni?

Qui, come anticipato, ci supporta la definizione di appalto genuino contenuta nell’art. 29. Ci troveremo in presenza di un’azienda o di un ramo di essa anche nel caso in cui vi sia stato solo il passaggio di un gruppo di lavoratori, stabilmente coordinati ed organizzati tra loro , la cui autonoma capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare know how (Cass. n.6770/17).  

Quindi il tema dominante è quello della continuità / discontinuità ravvisabile nelle attività oggetto di successione nella gestione. Valutazione che si incentra sulle modalità con le quali l’attività veniva svolta prima e viene svolta dopo il subentro. I Giudici di merito hanno evidenziato che una mera riduzione dell’appalto non costituisce discontinuità, così come non la costituisce l’introduzioni di particolari regolamenti.

La verità è, che stando così le cose, negli appalti c.d. labour intensive la possibilità di subentrare nella gestione dell’appalto, senza correre il rischio non solo di assorbire tutto il personale in precedenza ad esso addetto, ma anche di accollarsi la responsabilità solidale per gli eventuali debiti maturati dall’impresa uscente e non soddisfatti, sono molto ridotte. Inoltre l’onere della prova di eventuali modifiche dell’appalto incombe, naturalmente, sull’azienda subentrante.

Bisognerà, perciò, fare molta attenzione alla presenza di clausole sociali, contenute nei contratti collettivi applicati o nel contratto di appalto, che obbligano alla riassunzione del personale precedentemente occupato, per poi passare all’esame della situazione di fatto per capire se vi sia o meno una effettiva discontinuità con la gestione precedente.

Infine, per concludere la nostra disamina, si deve rilevare come la Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 20 febbraio 2019, abbia statuito che la clausola sociale contenuta nell’art. 4 ccnl Multiservizi garantisce l’assunzione da parte del nuovo appaltatore a tutti gli impiegati nel servizio, dato sostanziale che prevale su quello formale dell’assunzione in capo all’appaltatore o a un subappaltatore.

La stessa Corte ha stabilito che non impedisce la proposizione della domanda giudiziale di assunzione presso il subentrante la circostanza che lo stesso lavoratore abbia in precedenza impugnato il licenziamento intimatogli dall’impresa uscente.   

 Avv. Stefano Ferrante dello studio De Martini Ferrante & Associati