Licenziamento orale e onere della prova

ritornano, affermando principi analoghi e ormai consolidati, sulla questione licenziamento orale-dimissioni e relativi oneri probatori che soprattutto in punto di fatto può presentare qualche criticità. E’ di esperienza comune, infatti, che il lavoratore sostenga di essere stato licenziato oralmente, e impugni il recesso, mentre il datore di lavoro ci venga a riferire che invece ha abbandonato il posto di lavoro di fatto dimettendosi, seppur non per iscritto. In situazioni di questo tipo non capita spesso, in realtà, che il datore di lavoro contesti l’abbandono del posto di lavoro e l’assenza sul piano disciplinare per poi arrivare ad un licenziamento appunto disciplinare; probabilmente anche perché spesso la verità sta un po’ nel mezzo.

Ecco quindi che le regole processuali, e conseguentemente la strategia nel processo, diventano decisive.

Ricordano all’unisono gli ermellini che se il lavoratore impugna il licenziamento perché orale, ha l’onere di provare che il fatto costitutivo della sua domanda (la risoluzione del rapporto) è ascrivibile alla volontà del datore di lavoro perché il solo fatto della cessazione della prestazione non è circostanza che da sola fornisca la prova. Qui il punto di fondo: non basta provare la semplice cessazione del rapporto (come sosteneva un risalente indirizzo della Corte di Cassazione), ma si deve dimostrare l’esistenza di un atto, una manifestazione di volontà, volto ad espellere il lavoratore. Solo tale prova inverte poi l’onere probatorio costringendo il datore di lavoro a provare un fatto estintivo diverso dal licenziamento (classicamente le dimissioni).

Ben si capisce che spesso i fatti si sono svolti in modo confuso e difficile da ricostruire con il rigore richiesto. Ebbene, se perdura l’incertezza probatoria il Giudice dovrà rigettare la domanda del lavoratore applicando il principio per il quale (art. 2697 c.c.) chi vuol far valere in giudizio un diritto deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

Una fattispecie, quindi, che dovrà essere attentamente valutata in punto di fatto dalla difesa del datore di lavoro con l’obiettivo di ben interpretare l’onere probatorio ricadente sul proprio cliente, senza rischiare di “aiutare” il lavoratore nel non facile compito di assolvere il proprio.

 Avv. Paolo Laverda dello Studio Legale De Martini – Ferrante & Associati