Rendicontazione di sostenibilità: impatti sul mondo del lavoro e sulle politiche del personale

Il D.Lgs. 125/2024 costringerà molte aziende a produrre uno specifico report di rendicontazione sulla sostenibilità, così come imposto a livello europeo dalla Corporate Sustainability Reporting Directive (Dir. UE 2022/2464). L’impegno non è di poco conto, ma l’obiettivo è nobile e può rappresentare una importante opportunità per migliorare in ottica di sostenibilità collettiva le nostre imprese.

Recepimento della Direttiva europea

Il D.Lgs. 125/2024 arriva dopo un lungo percorso partito in sede di Commissione Europea nel 2021, con l’obiettivo finale, in estrema sintesi, di rafforzare e modernizzare la disciplina sulle informazioni sociali ed ambientali, affiancandole ai classici bilanci economici delle società, per favorire una transizione verso un sistema economico più moderno ed inclusivo.

Il decreto legislativo, sostanzialmente, recepisce la Dir. UE 2022/2464, conosciuta come Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) in ordine alla rendicontazione societaria di sostenibilità.

Gli interessi in gioco erano contemperare gli obiettivi, sempre più richiesti anche dal mercato, di valorizzare i criteri ESG e più in generale della sostenibilità, insieme alla necessità di introdurre gradualmente i relativi oneri (soprattutto di compliance e di processo, con impatti ovviamente anche sui costi), soprattutto per le imprese medio – piccole e meno strutturate.

Campo di applicazione e tempi di attuazione

La nuova normativa prevede l’estensione dell’obbligo di pubblicare la rendicontazione di sostenibilità a tutte le grandi imprese che superino due dei tre criteri dimensionali sottoindicati:

  • più di 250 dipendenti
  • stato patrimoniale maggiore di € 25 milioni
  • ricavi netti maggiori di € 50 milioni

e a tutte le società quotate in mercati regolamentati (comprese le piccole e medie imprese, escluse le microimprese).

L’obbligo vige anche per le imprese non europee, con ricavi maggiori di 150 milioni di euro nell’Unione Europea e con almeno un’impresa figlia in Europa.

Il Decreto fissa anche i tempi di attuazione dei nuovi obblighi:

  • i c.d. enti di interesse pubblico – che già oggi redigono la dichiarazione non finanziaria – applicheranno le nuove disposizioni a partire dal 2024 (primo report nel 2025)
  • le altri grandi imprese a partire dal 2025 (primo report nel 2026)
  • le PMI quotate a partire dal 2026 (primo report nel 2027, con possibilità di rinvio nel 2028)
  • le imprese non europee a partire dal 2028 (primo report nel 2029).

La rendicontazione di sostenibilità

Il cuore della normativa si occupa in dettaglio dei contenuti del report di sostenibilità, che si divide in due documenti: la rendicontazione individuale e la rendicontazione consolidata. La differenza sta nel perimetro: la seconda riguarda società madri (tenute alla redazione del bilancio consolidato ai sensi del D.Lgs. 127/91) di gruppi di grandi dimensioni (individuati da precisi criteri).

La principale novità consiste nella previsione del principio della c.d. doppia materialità: la finanziaria, che riguarda come le questioni di sostenibilità incidono sulle attività economiche dell’impresa, e l’impatto, che si dovrà occupare di come queste ultime incidono su persone e ambiente.

Le imprese saranno tenute a fornire (in ottica sostenibilità):

  • modelli di business e strategia
  • piani che garantiscano gli obiettivi green
  • modalità di coinvolgimento degli interessi degli stakeholder
  • obiettivi fissati e progressi compiuti
  • ruolo del board e del management
  • processi di due diligence implementati
  • impatti negativi dell’impresa e della sua catena del valore, con le relative azioni per prevenire, attenuare, rimediare a tali impatti
  • i principali rischi per l’impresa
  • le metodologie utilizzate per ricavare le informazioni contenute nel report.

Per le PMI sono previsti obblighi ridotti e una possibile esenzione fino al 2028.

I report dovranno essere redatti secondo gli standard adottati dalla Comunità Europea.

Uno dei più ambiziosi obiettivi – con diverse criticità operative – che si pone il decreto (ai sensi delle direttive europee) è quello che il report dovrà occuparsi anche della catena del valore dell’impresa; quindi, di tutto il mondo della filiera e della fornitura delle aziende obbligate a produrre la reportistica.

Interessante la definizione di catena del valore che “comprende le attività, le risorse e le relazioni che l’impresa utilizza e su cui fa affidamento per creare i suoi prodotti o servizi, dalla concezione fino alla consegna, al consumo e al fine vita. Tali attività, risorse e relazioni comprendono:

  • quelle che fanno parte delle operazioni proprie dell’impresa, come le risorse umane;
  • quelle nei suoi canali di approvvigionamento, commercializzazione e distribuzione, come l’acquisto di materiali e servizi o la vendita e la consegna di prodotti e servizi;
  • il contesto finanziario, geografico, geopolitico e normativo in cui l’impresa opera. La catena del valore include attori a monte e a valle dell’impresa”.

Il decreto prevede una sorta di grace period triennale, durante il quale, se tutte le informazioni non fossero disponibili, comunque l’impresa dovrà evidenziare nel report gli sforzi compiuti, perché non è stato possibile ottenere le informazioni, i piani per ottenerle in futuro.

La norma arriva ad indicare alle aziende che il report dovrà essere incluso in un’apposita sezione della relazione sulla gestione, redatto in formato elettronico e depositato nella sede dell’impresa 15 giorni prima dell’assemblea e sul sito internet; se non fosse disponibile un sito, una copia cartacea dovrà essere resa disponibile a chi ne faccia richiesta.

Inoltre, il documento dovrà essere depositato presso il registro delle imprese, entro trenta giorni dall’approvazione del bilancio.

Le c.d. “società figlie” potranno essere esentate dagli obblighi di rendicontazione se l’azienda “madre” presenta ed include le prime nel report consolidato, ma soltanto a determinate specifiche condizioni: l’esenzione, in ogni modo, non si applica alle controllate quotate.

Le attestazioni di conformità

L’impresa è obbligata ad ottenere da un revisore una attestazione sulla conformità del report prodotto. Il professionista dovrà essere iscritto nel registro italiano o europeo e abilitato, anche specificatamente, alla rendicontazione di sostenibilità; l’incarico potrà anche essere conferito al revisore legale del bilancio.

Responsabilità e sanzioni

Gli amministratori delle società obbligate alla rendicontazione sono i responsabili del report. In caso di inadempimento, la legge prevede che sia la Consob ad applicare le sanzioni amministrative.

L’obbligo di informativa ai sindacati

Sia l’art. 3 che l’art. 4 del decreto stabiliscono che le imprese, o la società madre, debbano prevedere modalità per informare le rappresentanze dei lavoratori, anche nel “rispetto delle normative e degli accordi applicabili”.

La nuova normativa prevede che gli incontri con le organizzazioni sindacali debbano essere effettuati affrontando tutti i temi rilevanti del report di sostenibilità e come sia possibile verificarne tutti i dati presenti.

I rappresentanti dei lavoratori potranno esprimere un parere scritto su quanto discusso, che potrà essere comunicato all’organo amministrativo e di controllo.

L’impatto di quanto previsto dal nuovo decreto non deve essere sottovalutato, per diversi motivi.

Intanto, l’obbligo si inserisce in un sistema di relazioni industriali come quello italiano, che, a differenza di altri modelli, molto spesso prevede precisi impegni che vanno spesso al di là del “solo” dialogo sociale.

Ma soprattutto, per come è scritta la norma, risulta evidente la necessità di un confronto preventivo alla pubblicazione del report di sostenibilità.

Se si contempla la possibilità che il sindacato esprima un parere sulla rendicontazione, non siamo di fronte ad un mero obbligo di comunicazione di dati “a consuntivo” (come, ad esempio, il rapporto periodico biennale sulla situazione del personale maschile e femminile ai sensi dell’art. 46 del D.lgs n.198/2006  oppure l’adempimento previsto dall’ art. 3 del DPCM del 29/04/2022 sull’invio ai sindacati  dell’informativa annuale sulla certificazione della parità di genere) ma invece ad una specifica obbligazione a consultare le organizzazioni sindacali.

Certo, questo non può significare che il sindacato possa partecipare alla redazione del documento, che resta a carico degli amministratori delle società che ne sono direttamente responsabili, ma sarà bene che le Direzioni del Personale, tra gli svariati impegni ed adempimenti, mettano in agenda anche questo incontro.

Le aziende più grandi che, prima della pubblicazione del decreto, si erano già attrezzate con i bilanci di sostenibilità dovranno quindi ricordarsi che, prima della stesura finale, a differenza di oggi, saranno tenute a presentare ai rappresentanti dei lavoratori il lavoro effettuato.

La lettura del testo, infine, porta a dire che i destinatari naturali del confronto siano le rappresentanze sindacali aziendali (rsa) o le rappresentanze sindacali unitarie (rsu) regolarmente costituite nelle singole società. Se non presenti, sarà opportuno verificare gli eventuali impegni e clausole di relazioni sindacali presenti nei diversi ccnl, che, quasi sempre, prevedono l’impegno a confrontarsi con le strutture territoriali e/o nazionali di categoria.

Contenuto del report

Le informazioni da inserire nel report di sostenibilità sono quelle previste dagli artt. 4 e 5 del decreto in commento, così come sopra riassunte.

Il decreto fissa le linee guida e gli argomenti generali, nell’ottica di rappresentare l’impatto del gruppo o dell’impresa sulle varie questioni di sostenibilità. Ma in concreto, soprattutto rispetto al tema lavoro, cosa dovrà essere presente nella rendicontazione?

Una chiave di lettura è rappresentata dal riferimento al Reg. UE 2019/2088 che, all’art. 2, punto 24, dà una definizione dei fattori di sostenibilità: “le problematiche ambientali, sociali e concernenti il personale, il rispetto dei diritti umani e le questioni relative alla lotta alla corruzione attiva e passiva”.

Rispetto a questi fattori, bisognerà fornire informazioni sul modo in cui tali questioni influiscono sull’andamento e sui risultati delle aziende, rappresentare il modello e le strategie del gruppo, descrivere gli obiettivi temporali di miglioramento, il ruolo degli organi societari di amministrazione e controllo, e come si terrà conto delle istanze dei vari stakeholder.

In poche parole, le strategie aziendali ESG.

Il valore di un approccio ESG

Al di là degli obblighi di rendicontazione, le aziende più grandi e virtuose stanno già sperimentando i vantaggi di un approccio ESG; anche il mondo della finanza ha iniziato a misurare in tal senso il valore delle società.

Diversi i benefici riscontrabili ed oggettivamente misurabili, che riguardano aspetti economici (miglior accesso al mercato del credito e alle risorse finanziarie degli investitori, mitigazione dei rischi finanziari e non finanziari, rapporti agevolati con la Pubblica Amministrazione, facilitazione nelle aggregazioni di imprese), reputazionali (miglioramento dell’immagine aziendale, supporto dai propri stakeholder e dai clienti, migliore legittimazione sociale, sviluppo di una filiera più sostenibile e produttiva), di politiche del personale (relazioni industriali partecipate e più solide, migliore capacità di attrarre e fidelizzare le persone con le giuste competenze, una gestione dei propri dipendenti che migliora il clima aziendale).

Il capitale umano costituisce sempre più un asset strategico su cui si misura la competitività tra imprese, e sotto questo punto di vista, vanno lette le sempre più numerose aziende che adottano strategie complessive per incidere realmente sul clima aziendale, sul benessere individuale dei lavoratori, su politiche ed impegni ESG anche in ambito risorse umane, certificate nei bilanci di sostenibilità ma soprattutto applicate nella pratica, anche attraverso la leva degli accordi con le organizzazioni sindacali.

La strategia complessiva: un approccio a 360°

Per rispondere appieno al nuovo impianto normativo, sicuramente di grande valore aggiunto sarebbe inserire nella rendicontazione di sostenibilità anche bilanci di genere (soprattutto se certificate UNI PDR 125) e una carta degli impegni ESG.

Così come si dovrà evidenziare gli specifici riferimenti normativi interni su tutte le materie in qualche modo connesse alla sostenibilità ( ad esempio il codice etico, l’anticorruzione, le linee guida sulla sicurezza del lavoro e sull’inclusione e la parità di genere, i codici di comportamento antimolestie, ecc.).

Anche rispetto alla governance, il decreto richiede espressamente di indicare il proprio modello organizzativo in ambito ESG.

Trasformare l’obbligo normativo in opportunità di migliori politiche del personale

Il costo economico ed organizzativo di mettere a terra gli obblighi previsti dal decreto può essere trasformato in politiche del personale migliori, ed aiutare le aziende in alcuni punti critici.

Vediamo per punti alcuni dei principali vantaggi:

1) aumentare la forza attrattiva del brand verso i talenti. Come noto, le aziende, in questo periodo storico, faticano a trovare e ad inserire nelle loro strutture giovani di valore che, potendo scegliere, cercano sempre più opportunità lavorative in organizzazioni che condividano i loro valori etici e di sostenibilità. Sapere che un’azienda lavora per migliorare il suo impatto sull’ambiente, sostiene la collettività con azioni di responsabilità sociale, contribuisce alla transizione ecologica e tecnologica della società, aiuta le fasce di lavoratori più deboli, può fare la differenza, oltre che migliorare in termini complessivi la reputazione della società;

2) favorire la retention dei propri collaboratori. Una volta assunti, per evitare il fenomeno sempre più frequente della great resignation, le politiche ESG, per i motivi sopra esposti, sono fondamentali per trattenere le persone. Diverse statistiche dimostrano che le nuove generazioni, oltre che agli aspetti economici del proprio contratto di lavoro, guardano con attenzione al rispetto dei valori e alle pratiche concrete di corporate social responsability; trattenere le risorse è una questione sempre più importante, anche rispetto ai costi legati alle sostituzioni del personale già formato e produttivo, obbligando le aziende a costosi percorsi di selezione, onboarding, formazione, inserimento;

3) migliorare il benessere dei dipendenti, con effetti benefici sui primi due punti, sulla fidelizzazione del personale e sull’incremento della produttività.

Per soffermarci ancora un attimo sugli argomenti che dovranno essere inseriti nella rendicontazione di sostenibilità, a solo titolo di esempio, prendiamo gli impegni che il Gruppo Autostrade per l’Italia, già oggi, sottoscrive, in ottica “lavoro”, nel proprio bilancio di sostenibilità:

  1. favorire lo sviluppo del potenziale delle persone
  2. creare un ambiente di lavoro inclusivo
  3. promuovere modalità di lavoro flessibili e gestire in modo equilibrato le prestazioni lavorative, riconoscendo e tutelando il diritto al riposo e al tempo libero, avendo come riferimento le Convenzioni dell’International Labour Organization (ILO)
  4. salvaguardare la salute e sicurezza delle persone, perseguendo il miglioramento continuo verso l’obiettivo “zero incidenti”
  5. rispettare i diritti dei lavoratori e le libertà sindacali
  6. svolgere le attività nel rispetto dei diritti umani.

 

Dott. Marco Micaroni  – Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2024