Referendum 8-9 giugno: possibili impatti su imprese e GDO

Articolo 18, licenziamenti illegittimi, contratti a tempo determinato e responsabilità del committente: sono alcuni degli ambiti investiti dai referendum dell’8 e 9 giugno. I quesiti puntano a rafforzare le tutele per i lavoratori; ma gli impatti sulle imprese potrebbero essere rilevanti, soprattutto in settori ad alta intensità di lavoro come la GDO.

Tra i referendum abrogativi che si svolgeranno domenica 8 e lunedì 9 giugno 2025 vi sono quattro quesiti che attengono a tematiche centrali riguardanti il lavoro, idonei a determinare un forte impatto nel mondo del lavoro e delle imprese.

I quattro quesiti referendari in tema di lavoro, evidentemente ispirati all’obiettivo di rafforzare le tutele del lavoratore, comportano potenziali ricadute importanti per le imprese, specialmente nei settori a elevata intensità di lavoro e forte dinamismo organizzativo come la Grande Distribuzione Organizzata (GDO), in termini di riduzione della flessibilità del sistema, aumento del rischio di contenzioso, con possibili impatti negativi in termini di competitività del sistema produttivo.

Il contratto a tutele crescenti

Il primo quesito referendario mira all’abrogazione del D. Lgs 23/2015, che ha introdotto il contratto a tutele crescenti. Il principale obiettivo del quesito è ripristinare la reintegrazione del lavoratore in tutti i casi di licenziamento illegittimo. Ricordiamo che il D.Lgs. 23/2015 ha sostituito, per i nuovi assunti a partire dal 7 marzo 2015, la disciplina dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, e prevedeva – originariamente – una tutela prevalentemente indennitaria, circoscrivendo la reintegrazione solo ad alcune ipotesi particolarmente gravi (es. licenziamento nullo o discriminatorio). Per valutare appieno la portata del primo quesito referendario, occorre effettuare alcune considerazioni. Da lato – a seguito degli interventi della Corte Costituzionale (da ultimo, C. Cost 128/2024 e C. Cost 129/2024) – l’impianto originario del D.Lgs. 23/2015 risulta oggi radicalmente depotenziato. In particolare, la Consulta, oltre ad aver incrementato la discrezionalità del giudice rispetto alla quantificazione della tutela indennitaria (che può arrivare sino alle 36 mensilità di indennizzo), ha integrato le ipotesi di applicazione della c.d. “tutela reintegratoria attenuata” anche per gli assunti dopo il 7 marzo 2015, segnando un forte riavvicinamento tra la tutela ex D.Lgs. 23/2015 a quella dell’art. 18, già modificata dalla riforma Fornero (L. 92/2012). Si consideri infatti che l’attuale versione dell’art. 18 L. 300/70, dopo le riforme del 2012 e 2015, prevede la “reintegrazione piena” – al pari del Jobs Act – solo in ipotesi tassativamente indicate (licenziamento nullo, discriminatorio, o manifestamente infondato), mentre, per le altre, prevede una “tutela reintegratoria attenuata” o un’indennità risarcitoria, compresa tra 12 e 24 mensilità. A titolo comparativo, il D.lgs. 23/15 prevede un’indennità risarcitoria più elevata rispetto all’art. 18 (da 6 fino a 36 mensilità). Pertanto, paradossalmente, i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 possono accedere a un indennizzo superiore rispetto a quelli assunti prima di tale data, per i quali si applica il tetto dei 24 mesi previsto dall’art. 18. Alla luce dell’intervento della Corte Costituzionale e della sempre maggiore convergenza applicativa, tra i due regimi di tutela anche nella prassi giudiziaria, la portata del quesito referendario risulta ridotta. Sotto altro profilo, l’irrigidimento della disciplina sui licenziamenti potrebbe comportare effetti sul mondo delle imprese e sul mercato del lavoro, disincentivando le assunzioni a tempo indeterminato e gli investimenti esteri nel nostro Paese. L’assenza di flessibilità del mercato del lavoro e l’incertezza del diritto sono elementi idonei a pregiudicare il nostro paese agli occhi degli investitori internazionali, specie se si considera che in molti Paesi europei le principali tutele avverso i licenziamenti non sono di tipo reintegratorio ma prevale la tutela indennitaria, eventualmente corredata da misure di accompagnamento.

Indennità per i licenziamenti illegittimi

Il secondo quesito propone l’abrogazione del tetto massimo previsto dall’art. 8 L. 604/66 in materia di indennità per i licenziamenti illegittimi nelle aziende sotto i 15 dipendenti. Attualmente, a tali imprese si applica una tutela c.d. “obbligatoria”, sicché il datore di lavoro, in caso di licenziamento illegittimo, è tenuto a corrispondere un’indennità compresa tra 2,5 e 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, aumentabile in alcuni casi, con esclusione della reintegrazione. Questa forma attenuata di tutela è giustificata dal minor dimensionamento delle piccole imprese e dal peso economico e organizzativo derivante delle tutele previste per i licenziamenti posti in essere dalle aziende di maggiori dimensioni. L’accoglimento del quesito referendario determinerebbe pertanto un effetto fortemente dissuasivo sull’iniziativa imprenditoriale in termini di licenziamento ma, al contempo, la misura potrebbe diventare un freno alle assunzioni e alla sopravvivenza stessa dell’attività.

La causale nei contratti a tempo determinato

Il terzo quesito referendario propone l’abrogazione delle norme del D.Lgs. 81/2015 che hanno eliminato l’obbligo di indicare le causali per la stipula di contratti a tempo determinato per i primi 12 mesi. Nel 2015, il Jobs Act ha introdotto una maggiore flessibilizzazione del contratto a termine, eliminando l’obbligo di causale per i primi 36 mesi. Il Decreto Dignità (D.l. 87/2018) ha ristretto la durata massima a 12 mesi senza causale, reintroducendo l’obbligo di motivazione per proroghe e rinnovi oltre tale soglia. Il referendum propone l’abrogazione delle norme che consentono l’instaurazione di contratti a termine senza causale per i primi 12 mesi. In sostanza, si chiede un ritorno alla disciplina ante-2015, che richiedeva una motivazione specifica fin dall’inizio. Una tale disciplina potrebbe ridurre ulteriormente la flessibilità del lavoro, in un contesto già normativamente complesso. Nel comparto GDO, caratterizzato da stagionalità, picchi di attività legati a promozioni o periodi festivi, e necessità di gestire turni su ampia scala, la flessibilità dei contratti a termine rappresenta uno strumento essenziale di organizzazione. L’abrogazione proposta potrebbe comportare una revisione complessiva delle politiche del lavoro nei grandi gruppi e nelle catene di distribuzione, oltre a determinare una nuova stagione di ampio contezioso sul contratto a termine, come avveniva prima del 2015.

Appalti e responsabilità solidale del committente per infortuni

L’ultimo quesito referendario in tema di lavoro interviene sulla disciplina degli appalti, proponendo l’abrogazione della norma (art. 26, comma 4, D.lgs. 81/2008) che esclude la responsabilità solidale del committente per infortuni derivanti da rischi specifici dell’attività dell’appaltatore o subappaltatore. Attualmente, il committente è responsabile solo per i rischi interferenziali, ossia quelli derivanti dall’interazione tra le attività svolte da più soggetti nello stesso luogo di lavoro. I rischi specifici, propri dell’attività dell’appaltatore, restano in capo al datore di lavoro effettivo. Tale distinzione ha lo scopo di allocare la responsabilità in modo razionale ed efficiente, considerando che il committente, in un appalto genuino, non ha strumenti di controllo sull’organizzazione e l’esecuzione dell’opera. Imputargli la responsabilità per rischi altrui significherebbe estendere un obbligo di vigilanza e prevenzione che eccede le sue prerogative. Fermo, pertanto, l’obiettivo prioritario di rafforzare la sicurezza del lavoro negli appalti, si tratta di valutare se l’attribuzione al committente di una responsabilità solidale generalizzata, anche in presenza di rischi interni alla sfera gestionale dell’appaltatore, rientri tra le misure più appropriate. Nel comparto GDO, dove l’esternalizzazione è strumento diffuso (si pensi agli ambiti delle pulizie, della logistica, della vigilanza ecc.), la riforma avrebbe impatti rilevanti. Inoltre, occorre ricordare che la normativa già prevede sanzioni e responsabilità specifiche in caso di appalti non genuini o irregolari, e il sistema è già stato recentemente implementato ad opera del Dl 19/2024, convertito dalla L. 56/2024.

di Valentina Pepe – Avvocata esperta in Diritto del Lavoro – Pepe & Associati Studio Legale – Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A.