Licenziamento per mancato gradimento della committente

Una recente ordinanza del Tribunale di Torino (4 marzo 2019, n. 4226) affronta un tema che forse poco compare nella giurisprudenza, ma che ho avuto modo di vedere più volte presentarsi nella pratica.

Si tratta del licenziamento da parte dell’appaltatore di un dipendente che opera nell’ambito dell’appalto in applicazione della cd “clausola di gradimento” spesso presente in appalti di servizi (tipicamente quello per pulizie laddove l’appaltatore è una cooperativa): si tratta di clausole che legittimano la committente a richiedere all’appaltatore l’allontanamento o trasferimento dipendenti ritenuti non graditi.   

Il licenziamento era stato comminato per giustificato motivo oggettivo e la motivazione indicava semplicemente il mancato gradimento da parte dell’appaltante; in causa poi la convenuta ribadiva che il gmo era determinato da tale richiesta e che era impossibile reperire altra collocazione. Il Giudice ha ritenuto illegittimo il recesso sostenendo che la clausola, pur non illegittima in se, non può attribuire un potere di recesso ad nutum ad un terzo (il committente). Il recesso deve avere un motivo oggettivo (ed astrattamente il mancato gradimento può esserlo) ma tale motivo deve essere anche giustificato e per essere tale è necessario che venga esposto e motivato, esponendo ragioni da collegare alla datrice di lavoro.

In buona sostanza si sarebbero dovute spiegare le ragioni sottese alle decisione dell’appaltante, magari, aggiungo io, virando in un licenziamento di tipo disciplinare e non oggettivo. Ma quel che è certo è che, oggettive o soggettive, le ragioni devono essere indicate se non altro nel rispetto dei generali principi di correttezza buona fede.

Quel che emerge in definitiva (tra l’altro anche volgendo lo sguardo al altra giurisprudenza come il Tribunale di Venezia, 17 settembre 2018, n. 455 e Corte di Cassazione 17 maggio 2016, n. 10071) è che se il recesso può essere occasionato da una clausola di gradimento lo stesso non può unicamente basarsi sulla volontà di un terzo, ma deve avere ed esplicitare le sue ragioni oggettive (da riconnettere all’appaltatrice) e,o soggettive (ovviamente riconducibili al lavoratore).

Avv. Paolo Laverda dello Studio Legale De Martini – Ferrante & Associati