Green Pass per tutti i lavoratori: obbligo diffuso e qualche dubbio applicativo
Con l’entrata in vigore del DL 127/2021, dal 15 ottobre tutti i lavoratori per accedere al proprio luogo di lavoro dovranno dotarsi della certificazione verde; il cosiddetto “Green Pass”.
L’obbligo è esteso indistintamente a tutti i luoghi di lavoro, a prescindere dal settore, pubblico o privato e dalla tipologia del rapporto di lavoro, per cui anche i lavoratori autonomi sono soggetti alla necessità di possedere ed esibire il Green Pass. Non solo, l’obbligatorietà riguarda anche tutti coloro che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato nei luoghi di lavoro, anche sulla base di contratti esterni. Ciò che rileva dunque è la necessità, come premesso dal primo comma dell’art. 9 septies, di preservare i luoghi di lavoro dalla possibilità di diffusione del contagio del virus, per cui ogni accesso a titolo latu sensu lavorativo è subordinato al possesso della certificazione in discorso. La responsabilità del controllo è posto in capo al datore di lavoro, che per la sua attuazione concreta può individuare un incaricato, delegandolo formalmente. E puntualmente.
L’estensione della applicazione della norma che riguarda fattispecie anche molto diverse tra loro, implica la risoluzione di alcune questioni applicative anche rilevanti, non sempre supportate dalla chiarezza della norma.
Il mancato possesso del Green Pass. Le conseguenze per i lavoratori autonomi
Dal quadro complessivo della normativa che introduce l’obbligo in esame, è evidente che soltanto la violazione delle disposizioni comporta responsabilità, e dunque punibilità. Solo la violazione delle disposizioni è sanzionata in via amministrativa dal Prefetto, cui deve essere segnalata dall’incaricato designato dal datore di lavoro, ed è apprezzabile dal punto di vista disciplinare. Viceversa, ogni rilievo disciplinare è espressamente escluso per il lavoratore che dichiari di non possedere la certificazione o che risulti privo della medesima al controllo ordinario, con diritto alla conservazione del posto di lavoro.
È da verificare se quest’ultima garanzia possa ritenersi estesa, per analogia, anche ai lavoratori autonomi. Rispetto a questi infatti è difficile considerare la loro condizione quali “assenti ingiustificati”, come previsto dalla norma e verosimilmente riferibile in via esclusiva ai lavoratori subordinati. Appare perciò opportuno un chiarimento da parte del legislatore, che, altrimenti, non sarebbe impossibile prospettare l’ipotesi per la quale i lavoratori autonomi privi del Green pass, al contrario di quelli subordinati, possano vedersi risolto il contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, senza garanzia della manutenzione, pacifica per i lavoratori subordinati.
La possibilità di sospensione del rapporto per le aziende minori
Ai sensi del comma 7, per le imprese con meno di 15 dipendenti, dopo il quinto giorno di assenza ingiustificata disposta per il mancato possesso del Green Pass, il datore di lavoro può sospendere il lavoratore per la durata corrispondente a quella del contratto di lavoro stipulato per la sostituzione, comunque per un periodo non superiore a dieci giorni, rinnovabili per una sola volta, e non oltre 31 dicembre 2021, data dello spirare dello stato di emergenza che, attualmente, rappresenta anche il termine finale di efficacia delle norme in esame.
Al netto della (in)comprensibilità della distinzione operata dalla norma, nel prevedere tale meccanismo per applicare la sospensione soltanto alle aziende che occupano meno di quindici dipendenti, la disposizione ha suscitato immediato interesse per i dubbi di natura applicativa, da un duplice punto di vista.
Innanzitutto, quanto all’efficacia della limitazione imposta (10 + 10 giorni al massimo), e della compatibilità con la disciplina ordinaria (art. 19 D.Lgs. 81/2015), che già consente la stipula di contratti a tempo determinato per ragioni sostitutive, senza il predetto limite temporale. Ma, soprattutto, i dubbi applicativi insorgono con riferimento alle modalità concrete di attuazione della misura, e del suo raccordo con le determinazioni del lavoratore sostituito, rispetto alla scelta datoriale di avvalersi di questa facoltà riconosciutagli dalla norma speciale.
Pare potersi dedurre, alla luce della lettera del capoverso in oggetto, che dalla sua applicazione derivino le seguenti condizioni concrete: appreso del mancato possesso del Green Pass, il datore di lavoro – nelle aziende con meno di quindici dipendenti – può sospenderlo e sostituirlo con un altro lavoratore, assunto a tempo determinato, per un periodo iniziale non superiore a dieci giorni, rinnovabile, come previsto dalla norma stessa, una volata soltanto, per un ulteriore identico periodo. Ne deriverebbe che vigente il contratto a termine del sostituto, quand’anche il lavoratore sostituito dovesse recuperare lo status che gli consenta di accedere al luogo di lavoro, non potrebbe comunque pretendere di riprendere servizio, se non alla fine della sospensione.
Permangono in ogni caso tutte le perplessità connesse alla difficoltà di reperire personale per un così breve periodo, oltre ai dubbi relativi agli esiti nell’eventualità che anche dopo trascorsi i venti giorni, il lavoratore non sia ancora in possesso della certificazione in discorso: ritorna ad essere semplicemente assente non giustificato? Al datore è impedita la possibilità di una sua sostituzione ex art. 19 D.Lgs. 81/2015?
Controllo del Green Pass e data privacy
Uno dei temi più delicati, connesso alle modalità con le quali provvedere ai controlli del possesso del Green Pass, del quale è onerata la parte datoriale, è rappresentato dalla compatibilità di questi con le prescrizioni in materia di tutela dei dati personali, tenendo presente la necessità che gli stessi possano rivelarsi efficaci ai fini organizzativi. Il datore di lavoro infatti, al contrario dei ristoratori, degli organizzatori di spettacoli, e di tutti gli altri soggetti che già da prima del 15 ottobre sono onerati del controllo della certificazione verde degli avventori, ha la necessità di disanonimizzareil risultato negativo del controllo del Green Pass, perché dovrà considerare quel dipendente – e non altri – quale assente ingiustificato.
La norma, con modalità probabilmente fin troppo generica, rimanda invece, quanto alle modalità attraverso le quali provvedere ai controlli in discorso, al DPCM 17 giugno 2021. Questo, pensato per le esigenze connesse appunto ai clienti di ristoranti, spettatori di spettacoli, frequentatori di palestre etc., per il principio di minimizzazione del trattamento, impedisce ogni trattamento e conservazione del dato, non necessaria, considerato che ai fini dell’efficacia delle finalità concrete della norma, era sufficiente, verificato l’esito negativo del controllo, impedire l’accesso alla persona che in quel momento il controllore si trovava davanti, senza la necessità di conoscerne i dati personali.
Con l’estensione dell’obbligo del possesso del Green Pass ai luoghi di lavoro, e la previsione della conseguente considerazione quale assente ingiustificato di chi ne risultasse privo, è oggettivamente necessario un successivo trattamento dei dati ed una loro conservazione, anche minima, che però, allo stato, la norma sembra impedire. Gap che appare necessario colmare nel più breve tempo possibile al fine di consentire l’operatività concreta e l’efficacia delle finalità prefisse dalla norma stessa.
Giuffrè Francis Lefebvre – autore Pasquale Staropoli